giovedì 16 giugno 2016

Recensione Il nome della rosa

Titolo: Il nome della rosa
Autore: Umberto Eco
Genere: Letteratura Italiana
Casa editrice: Bompiani
Prezzo: €14.00 (copertina flessibile)
Pagine: 618




Trama
Ultima settimana del novembre 1327. Il novizio Adso da Melk accompagna in un'abbazia dell'alta Italia frate Guglielmo da Baskerville, incaricato di una sottile e imprecisa missione diplomatica. Ex inquisitore, amico di Guglielmo di Occam e di Marsiglio da Padova, frate Guglielmo si trova a dover dipanare una serie di misteriosi delitti (sette in sette giorni, perpetrati nel chiuso della cinta abbaziale)  che insanguinò una biblioteca ironica e incessibile. Per risolvere il caso, Guglielmo dovrà decifrare indizi di ogni genere, dal comportamento dei santi a quello degli eretici, dalle scritture negromantiche al linguaggio delle erbe, da manoscritti in lingue ignote alle mosse diplomatiche degli uomini di potere. La soluzione arriverà, forse troppo tardi, in termini di giorni, forse troppo presto, in termini di secoli.
Recensione
Buongiorno! So che potrebbe sembrarvi strano il fatto che oggi io vi parli di un libro non fantasy, ma "Il nome della rosa" è uno dei libri che devo leggere per quest'estate e, visto che l'ho comprato a febbraio, ho deciso di farlo subito così che poi posso dedicarmi ad altri libri che mi aspettano da non so quanto tempo. Comunque, meglio iniziare.
All'inizio, vediamo frate Guglielmo che giunge in questa abbazia insieme al novizio Adso, nonché narratore della storia: qui viene subito richiesto il suo aiuto dall'Abate visto che è stato ritrovato il corpo di Adelmo, uno dei monaci, e pensano a un suicidio. Mentre iniziano ad investigare, il secondo giorno, avviene un'altra morte, ovvero quella di Venanzio, il cui compito era quello di tradurre i libri presenti nella biblioteca e sulla cui scrivania i due "investigatori" trovano un libro al quanto singolare visto che il morto aveva trascritto degli appunti in greco, che però Guglielmo non riesce a finire di tradurre perché qualcuno ruba i suoi occhiali (senza non riesce a leggere) e poi ruba anche il libro stesso. Accadono altre morti e tutto sembra in qualche modo collegato alla biblioteca e ai segreti che essa nasconde, ma ai nostri due beniamini è stato proibito di entrarci, così come dice la regola, e gli unici a poterci entrare sono Malachia, bibliotecario, e Berengario, suo aiutante; le indagini, però, vanno a rilento anche a causa della reticenza (che parolone!) dei monaci che spesso e volentieri, da una parte, fanno intendere qualcosa, dall'altra, sparlano degli uni e degli altri e si mostrano anche un po' corrotti.
Bene, non dico altro perché non vorrei mai dire chi muore e rovinare il finale, quindi passiamo al commento.
Allora, questo libro, oltre ad avere una storia abbastanza intrigante, ci permette di vedere la corruzione all'interno di un ordine monastico: non è tanto la solita corruzione dovuta al potere, per carità c'entra in parte ma non è fondamentale, ma è più quella dovuta a quei rapporti che ci sono fra un uomo e una donna, che non dovrebbero esistere in campo monastico.
Poi, personaggi importanti oltre a Guglielmo, Adso, Adelmo e Venanzio, sono l'Abate, che a volte non sembra molto collaborativo per risolvere il mistero, Jorge, un vecchio monaco cieco che parla sempre dell'Anticristo, Berengario, l'aiutante del bibliotecario che era molto legato ad Adelmo, Malachia, bibliotecario, Severino, l'erborista, Alinardo, che fa parte degli italiani e che non ama particolarmente  l'Abate, Bencio, monaco che ruberà il libro, Salvatore, che parla mischiando varie lingue e che ha certe abitudini corrotte, e Remigio, cellario amico di quest'ultimo e con cui divide quelle abitudini.
Concludendo, posso dirvi che questo libro a me è piaciuto abbastanza, anche se a volte mi stava salendo l'Avada Kedavra perché ci sono delle descrizioni un po' lunghe, che mi hanno fatto perdere il filo e che hanno interrotto la storia quando io volevo solo andare avanti e scoprire il finale, e poi ci sono anche molte frasi in latino che non ho capito visto che, benché io lo studi, non avevo voglia di mettermi a tradurle; lo stile di scrittura mi è piaciuto e penso che Eco sia riuscito bene nel suo intento, anche perché se non erro questo è il primo romanzo che ha scritto e direi che l'ha fatto bene, sebbene avrebbe potuto evitare qualche descrizione troppo lunga o qualche pensiero di Adso sui monaci. Insomma, secondo me è un buon libro e forse dovrebbe essere letto una volta nella vita perché parliamo del Medioevo e anche della corruzione, cosa che oggi è molto presente.
Voto:

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